17 Dic Placenta accreta: un serio pericolo per le partorienti
La placenta accreta è un difetto di adesione placentare alla parete uterina: la membrana placentare si trova a stretto contatto con l’utero tanto che i villi coriali, che generalmente affondano nelle cellule uterine, in questo caso si estendono più in profondità raggiungendo il miometrio (strato muscolare dell’utero). Il disturbo non compromette la gravidanza, in quanto la funzione placentare è normale, ma predispone a un’emorragia post-partum massiva, in quanto la membrana si stacca dalla cavità uterina con difficoltà o solo in parte.
Il principale fattore di rischio per la placenta accreta è costituito da un pregresso intervento chirurgico all’utero (incluso un precedente parto cesareo). Altri elementi che possono favorire il manifestarsi dell’affezione comprendono fibromi sottomucosi, lesioni endometriali, multiparità, aborti ricorrenti, abitudine al fumo di sigaretta ed età materna superiore ai 35 anni.
La diagnosi precoce è molto importante, poiché consente di pianificare le strategie di intervento più adeguate al caso. Nelle donne a rischio, la valutazione dell’interfaccia utero-placentare viene eseguita mediante ecografia; questa indagine può essere eseguita periodicamente, a partire dalla 20a alla 24a settimana di gestazione. Se l’ecografia non è conclusiva, la risonanza magnetica o la flussimetria con doppler possono supportare la diagnosi. Dopo il parto, invece, l’alterazione può essere sospettata se non avviene l’espulsione della placenta entro 30 minuti dalla nascita del bambino.
La placenta accreta prevede solitamente la programmazione di un parto cesareo, a cui può seguire un’isterectomia (indicata in presenza di una cospicua emorragia in atto) o un trattamento conservativo (possibile qualora il sanguinamento post-partum fosse minimo e la paziente desiderasse preservare la propria fertilità). L’immediato clampaggio del cordone dopo il parto può aiutare a ridurre al minimo la perdita di sangue.
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