19 Mag Miele ai piccini? Meglio di no!
Sin dall’antichità il miele è definito “il cibo degli dei”, difatti è da secoli utilizzato non solo in ambito alimentare, ma anche come componente di unguenti o creme dalla funzione lenitiva, antinfiammatoria o riparatrice, grazie alle sue molteplici proprietà curative.
Le antiche, seppur tutt’oggi attuali, applicazioni del miele non sono casuali: rappresenta un toccasana per la pelle e per i capelli, dona energia, migliora la memoria, favorisce la crescita delle ossa, stimola le difese immunitarie, riduce l’ansia, calma la tosse e lenisce le infiammazioni della gola, aiuta a ridurre il reflusso esofageo ed apporta benefici per lo sviluppo della “buona” flora batterica intestinale. Dunque, è un alimento “non solo alimento” ma utilizzabile su diversi piani che vanno dalla medicina, all’alimentazione fino alla cura della persona. Le innumerevoli applicazioni sono così benefiche per la stragrande maggioranza della popolazione, vi è solo una fascia di quest’ultima per la quale il miele deve essere usato con estrema cautela, ovvero i bambini.
Il miele è prodotto dalle api e proprio per questo motivo ha implicito in sé un potente rischio: le api posandosi su varie superfici durante la loro attività di raccolta del nettare possono catturare inconsapevolmente le spore di Clostridium botulinum, un microrganismo diffuso nell’ambiente che normalmente non crea alcun problema, le cui spore, però, se in condizioni favorevoli possono produrre una tossina dagli effetti neurologici gravi generanti una sindrome definita “botulismo”, in caso di contaminazione dei bambini “botulismo infantile“, in cui un soggetto da 0 a 12 mesi di età subisce una paralisi del corpo e respiratoria potenzialmente letale.
L’intestino del neonato non è già completamente formato, o per meglio dire, non ha una completa flora batterica sviluppata né un veloce transito intestinale, tipico invece degli adulti, tale da inattivare le tossine in ingresso: la spora, così penetrata accidentalmente, può trovare terreno fertile, attivarsi, dare origine al microrganismo capace di moltiplicarsi e produrre la pericolosa tossina.
Nell’intestino di un neonato vi è un ambiente quasi sterile alla nascita e per questo suscettibile ad insulti da parte di microrganismi patogeni, o spore come in questo caso.
Le spore di Clostridium botulinum sono capaci di resistere a lungo nell’ambiente in cui sono disperse superando anche condizioni piuttosto avverse, del resto la spora stessa è un meccanismo di difesa e conservazione a lungo termine di alcuni microrganismi, per cui, così come resistono in ambiente aperto, ancor di più possono resistere in un barattolo di miele conservato per anni.
Dunque è ormai chiaro che il vecchio rimedio “della nonna” di intingere il ciucciotto del neonato nel miele per calmarlo o dar piacere al suo palato è una pratica più che scorretta. Le vecchie credenze popolari, e i rimedi delle nonne, sono, però, difficili da eliminare, difficile al punto da ritenersi necessaria una vera campagna di sensibilizzazione in merito al consumo di miele nei neonati sotto i 12 mesi di età. A tale scopo alcuni Paesi Europei hanno disposto l’obbligo in etichetta di segnalare il rischio per i più piccoli.
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