02 Apr Resilienza: dall’uomo all’ecosistema
Per resilienza si intende la capacità, la forza e il coraggio, di risollevarsi e reagire dopo una qualsivoglia sofferenza o crisi ma può utilizzarsi anche in ecologia e biologia riferendosi alla facoltà di autoripararsi dopo un danno o di una comunità di ritornare al suo stato iniziale dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che l’ha insultata.
La resilienza dell’uomo dipende da vari fattori, primo fra i quali l’attitudine personale e l’esperienza; negli ambienti antropizzati, quali luoghi artificiali o edificati, tale fenomeno di “resistenza” è alquanto limitato, del resto un luogo artificiale dopo shock ambientali come ondate di caldo, eventi meteo estremi non riesce autonomamente a recuperare i danni e questo indica la sua scarsa o nulla resilienza. Al contrario, gli ambienti naturali hanno un’alta resilienza: gli alberi, per esempio, resistono, grazie alle loro radici salde a terra, alle frane, alle valanghe o alla siccità. La resilienza in ecologia è dunque la capacità di un’area, un ecosistema, una comunità vitale di resistere ai colpi, di attutirne gli effetti, di ritornare al suo stato iniziale, dopo una perturbazione del suo equilibrio omeostatico.
La prima volta che questo termine compare in ecologia risale al 1973 grazie ad un ecologista canadese, Crawford Stanley Holling, che lo introdusse nel linguaggio di settore per indicare certe dinamiche non lineari osservate nell’ecosistema definendola “la quantità di anomalie che un ecosistema può tollerare senza cambiare i processi di autorganizzazione e le sue strutture di base“.
Un concetto dal quale è poi derivato quello di “adattamento” tramite il quale l’ecosistema, o un suo componente, attua la resilienza ecologica. Applicando un processo di adattamento al fine di ristabilire gli equilibri, gli ecosistemi operano una “transizione”, ovvero un passaggio da uno stato di stabilità all’altro: foreste, laghi, territori semi aridi, barriere coralline, sono tutti sistemi dove la resilienza ecologica viene mantenuta grazie a processi strutturali che alternano fonti di rinnovamento a riformazione e biodiversità funzionale.
Un esempio emblematico di ecosistema dotato di resilienza è la macchia mediterranea: nel corso dei decenni si è vista interessata da incendi, alluvioni e disastri ambientali di varia natura, ma sempre è riuscita a riprendere il suo ciclo vegetativo ripristinando le precedenti condizioni riproduttive dell’habitat.
Un altro esempio, seppur più amaro, perché tutt’altro che “naturale”, è quello dell’uomo stesso: l’industrializzazione lo spinge a inquinare senza motivo e misura l’ambiente circostante, al contempo fa continui sforzi, cercando di mettere in atto resilienza, per cercare di sopravvivervi e rimediare mitigando gli effetti. Purtroppo, a differenza di ciò che avviene in natura, questo non è sempre possibile.
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